Marc Chagall al Mudec di Milano: essere ebreo nel XX secolo
- Mattia Lisa
- 26 lug 2022
- Tempo di lettura: 4 min
Babele Siamo Noi vi guida in un viaggio alla scoperta di alcune delle più significative realizzazioni di Marc Chagall, esposte fino al 31 luglio al Mudec di Milano.

Di: Sofia Ciatti
Fino al 31 luglio, il Mudec di Milano ospita una retrospettiva dedicata a Marc Chagall: il progetto espositivo, realizzato in collaborazione con l’Israel Museum di Gerusalemme è dedicato in particolare alla sua attività di illustratore editoriale e grafico. La mostra ripercorre alcuni temi cardine della vita e della produzione dell’artista: dalle radici ashkenazite, passando per la nativa Vitebsk (oggi in Bielorussia), all’incontro con l’amata moglie Bella Rosenfeld, di cui illustrò i libri Burning Lights e First Encounter, sino al suo soggiorno parigino.
I lavori esposti riflettono dunque la caleidoscopica identità di Chagall, che è contestualmente bambino ebreo di Vitebsk, legato alla cultura Yiddish; marito che correda di immagini i libri dell’amata; artista che illustra la Bibbia, colmando così la mancanza di una tradizione ebraica nelle arti figurative e visive, infine pittore moderno e contemporaneo, trasfigurandovi la mesta sorte toccata al popolo ebraico nel XX secolo.
Folklore ebraico e cultura Yiddish
Chagall non si dimenticò mai di essere, prima di tutto, ebreo, in un torno di tempo storico in cui non c’era niente di peggio che essere ebreo. Nonostante le leggi antisemite imperversassero in tutto il quadrante europeo, con toni e temi diversi, l’artista non fece altro che ribadire la propria appartenenza alla cultura della Stella di David, rendendola un vero e proprio contrassegno tematico che percorre trasversalmente l’intera sua arte.
Gli ebrei, costretti alla diaspora, si percepirono ben presto alla stregua di apolidi, come lo stesso pittore bielorusso e vi è un quadro che incarna perfettamente tale stato d’animo: La passeggiata (1918). Simbolo per antonomasia dell’amore, rappresenta due innamorati felici che fluttuano nell’aria, a sottolineare che la forza del sentimento è in grado di vincere anche la forza di gravità. L’azione di librarsi nell’aere sembrerebbe, di primo acchito, esprimere la sublimazione e l’elevazione di coloro che celebrano il proprio amore.
Tuttavia, un’espressione idiomatica propria del sistema linguistico ebraico può fornire una prospettiva e, di conseguenza, un’interpretazione diametralmente opposta: nell’opera, i due protagonisti fluttuano, giusto? Ecco, nella cultura Yiddish c’è un sintagma (luft yidn) che significa proprio “ebrei d’aria” e si carica immediatamente di un significato politico: nell’Impero russo a coloro che risultavano di origini ebraiche non era concesso acquistare un terreno e dunque non erano radicati e stabili, ma nomadi e condannati all’erranza, “fluttuanti”, appunto. Ancora, l’espressione leben fun luft (letteralmente “vivere d’aria”) fa riferimento agli ebrei costretti a lavorare come venditori ambulanti.

Chagall ebreo a Parigi
Ebreo in preghiera è un olio su tela del 1913. Nel 1911 il ventitreenne Marc Chagall giunse a Parigi, dove conobbe gli esiti pittorici delle Avanguardie artistiche in voga da circa un decennio. Nella capitale francese fece propri gli stilemi dei Fauves e del Cubismo, rielaborandoli e riproponendoli unitamente ai motivi folk ebraico-russi di Vitebsk.
A differenza di altre tele gioiose e lucenti, Ebreo in preghiera è un dipinto austero, ieratico. La figura del fedele viene rappresentata in perfetto stile cubista, cioè sia frontalmente ma al contempo anche di profilo. Dietro e sopra l’ebreo osserviamo due Stelle di David: una sul mantello azzurro di un rotolo della Torah (parzialmente tagliata), l’altra invece posta al di sopra dell’orante, quasi a volerlo schiacciare dall’alto. Non vi dà un senso claustrofobico quest’immagine? Pare che l’ebreo non abbia neppure lo spazio per sollevare il capo: se lo facesse, fuoriuscirebbe dai bordi del dipinto!

Il timore di Marc Chagall per il destino degli ebrei russi ed europei nell’arco di tempo in cui si consumò il secondo conflitto mondiale è incarnato perfettamente da Pogrom, la gouache su carta del 1944. Nel momento in cui lo realizzò non era ancora nota a tutti la tragica fine che di lì a poco sarebbe toccata agli ebrei, ma comunque già era nell’aria l’avvento di una catastrofe. Il titolo richiama quelle azioni di persecuzione di cui furono vittime le comunità ebraiche nella Russia zarista all’inizio del secolo ventesimo. La figura alata che domina la scena è solitamente identificata con l’Angelo di Dio.

Chagall e la tradizione biblica cristiana
L’artista di Vitebsk era un profondo ammiratore della Bibbia. Il corpus chagalliano di illustrazioni bibliche fu approntato per volontà del mercante d’arte e editore Ambroise Vollard, dopo che lo stesso Chagall ebbe lavorato alle illustrazioni delle Anime Morte di Gogol’ e delle Favole di La Fontaine. L’artista mise subito mano a questo progetto ma la morte prematura di Vollard nel 1939 e lo scoppio della Seconda guerra mondiale lo obbligarono ad interrompere il lavoro, che riprese soltanto nel 1952, dopo essere rientrato in territorio francese. 4 anni dopo, nel 1956, termina l’intera serie di stampe.
Le acqueforti bibliche di Chagall assumono come riferimento visivo i suoi ricordi presso Vitebsk e il suo viaggio in Palestina, compiuto nel 1931. Gli sviluppi politici in atto in Europa offuscarono completamente i ricordi luminosi del viaggio in Terra Santa. Il dolore dei pogrom cui furono sottoposti gli ebrei russi all’alba del secolo si fece più vivo, rinvigorito dall’ascesa del nazismo e dalla legislazione antisemita in area tedesca.
E dunque ecco che l’iconografia biblica propria della tradizione giudaico-cristiana si carica immediatamente di un significato politico. Chagall interpreta la sofferenza dell’antico popolo di Israele e della sua salvezza come figura del proprio destino, insieme individuale e universale, perché proprio di tutti gli ebrei europei. Peraltro, le stampe bibliche che egli realizzò, contribuiscono a creare uno strappo tra la sua esperienza e quella di altri artisti del Novecento, dal momento che sottolineano la sua convinzione che vi fosse una solida relazione spirituale tra Dio e gli uomini.

Chagall tra gli Stati Uniti e la Francia
Nel torno di tempo tra le due guerre mondiali, gli ebrei dell’Est Europa residenti a Parigi (come Chagall) riscontravano problemi nell’ottenimento della cittadinanza francese. Il pittore la ebbe, insieme alla sua famiglia, soltanto nel 1937 (erano giunti nella capitale francese nel 1923; il primo viaggio di Chagall compiuto a Parigi risale al 1911). Quattro anni dopo, nel 1941, partirono forzatamente alla volta degli States, per motivi ben noti, abbandonando la Francia: vi faranno ritorno solo sette anni più tardi. In quest’occasione, Chagall si stabilì nel Sud dell’Hexagon, ove visse e operò per il resto della sua vita.
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